Associazione per la salute mentale

Una strada tutta da percorrere… opinioni sulla Grande Incompiuta: la Legge Basaglia

La legge Basaglia 46 anni fa chiudeva i manicomi. Cosa resta di quella rivoluzione? Cosa ne pensano un filosofo ed un’associazione?

Molto critico sulla situazione attuale è Marco Rovelli, docente di filosofia, scrittore e musicista molto attivo sui temi sociali e che sull’argomento ha scritto il saggio “Soffro dunque siamo. Il disagio psichico nella società degli individui” (Minimun Fax, 2023). “Basaglia – spiega Rovelli – intendeva la psichiatria come relazione con un soggetto dotato di diritti e di una sua soggettività, prendendosene cura con una rete di relazioni comunitarie sul territorio. Lui era in minoranza già allora e più che mai adesso: la psichiatria odierna ha passato sottotraccia la sua lezione e ha imposto una controrivoluzione, si è rinchiusa nel proprio fortino biomedico e ha dimenticato gli aspetti relazionali e territoriali”. Rovelli sostiene che il problema non è “la sofferenza della mente ma l’emergenza di un sistema di relazioni”, eppure invece di curare questo si è deciso “di tornare a ricoverare negli ospedali e a dare farmaci”. Le esperienze che resistono e che avrebbero dovuto essere implementate, come quella di Trieste, sono “sotto attacco politico – denuncia il saggista – perché si vuole smantellare quel sistema che va avanti grazie alla buona volontà di qualcuno”.

Di occasione mancata parla anche la presidente della Associazione per la Riforma dell’Assistenza Psichiatrica Arap-Odv, Maria Antonietta Buonagurio. “La situazione – dice – sta addirittura peggiorando, le risorse sono insufficienti, mancano gli operatori e la presa in carico non avviene per la maggior parte delle persone. Ci sono anche buone pratiche nate con la legge Basaglia, tutta la normativa successiva e il piano di salute mentale nazionale, ma i bisogni della popolazione aumentano soprattutto per quanto riguarda i minori e gli adolescenti. Spesso i servizi sono accorpati, magari i Centri di salute mentale rimanessero aperti 24 ore al giorno, ma non è così, manca il personale e faticano a stare aperti anche dalle 8 alle 20. Qualcosa funziona nelle grandi città ma l’Italia è piena di paesini dove al massimo c’è un solo ambulatorio e l’operatore deve spostarsi continuamente”.

Secondo la presidente dell’Arap, sorta nel 1981 per aiutare le famiglie di persone alle prese con la salute mentale, “si pensa solo a dare medicine, mentre la parte riabilitativa lascia molto a desiderare. Non ci sono le risorse per la formazione degli operatori che è molto importante per la presa in carico della tutela prevista nel piano per la salute nazionale che si deve basare su prevenzione, cura, riabilitazione ed inserimento sociale e che andrebbe rispettato. Invece le famiglie sono lasciate sole un po’ come accadeva nel 1981 quando i servizi territoriali erano lontani da venire”.

“Sappiamo – dice la Buonagurio – che in alcune strutture viene di nuovo praticato l’elettroshock: viene consigliato quando i farmaci hanno controindicazioni per i pazienti. Ma facendo così la reintroduzione sociale del paziente rimane una chimera”.

A cura di Mimmo Fazioli

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